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“Salman Rushdie è islamofobo, non parli”. E lo scrittore non va all’università

“Salman Rushdie è islamofobo, non parli”. E lo scrittore non va all’università

Ansa

i mullah dei campus

Due giorni fa lo scrittore ha cancellato il discorso che avrebbe dovuto tenere alla consegna dei diplomi di un college californiano a seguito delle proteste di studenti del campus che lo hanno dichiarato "persona non grata"

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Nel giugno del 1989, la London School of Economics cancellò un incontro a sostegno di Salman Rushdie, temendo una “reazione violenta da parte dei musulmani”. Erano i giorni della fatwa di Khomeini, quando agli uffici della Viking di Londra, che aveva pubblicato “I versetti satanici”, arrivano i pacchi bomba e quando Rushdie dovette tenere una lezione all’Institute of Contemporary Arts in London fu l’amico e premio Nobel Harold Pinter a leggerla al posto suo. Seguirono gli anni terribili in cui il traduttore giapponese di Rushdie fu ucciso, quello norvegese si prese una pistolettata e quello italiano una coltellata. La Viking spenderà tre milioni di dollari in misure di sicurezza, ma non vacillò sulla libertà di parola. Oggi non si fa che vacillare. Due giorni fa, Salman Rushdie ha cancellato il discorso che avrebbe dovuto tenere alla consegna dei diplomi in un college californiano a seguito delle proteste di gruppi e studenti del campus che lo hanno accusato di “islamofobia”, dichiarandolo “persona non grata”. Rushdie non parlaerà dunque al Claremont McKenna College, in California. La Muslim Student Association aveva criticato la scelta di Rushdie da parte del college, definendola “irrispettosa” e non in linea con l’impegno dell’università per l’“inclusione”. Rispetto e inclusione: ora in nome di queste parole d’ordine si cancella lo scrittore sulla cui testa pende una taglia da quattro milioni di dollari e a cui un sicario iraniano ha tolto un occhio in un attentato a New York (ieri Hadi Matar è stato condannato dal tribunale). Anche il Consiglio per le relazioni americano-islamiche aveva protestato per la presenza dello scrittore, accusando Rushdie di “aver fatto dichiarazioni preoccupanti sui musulmani e la Palestina”. Rushdie aveva detto che le proteste filo palestinesi nei campus sono paragonabili al sostegno a “un gruppo terroristico fascista” e che uno stato palestinese a Gaza oggi sarebbe “come i talebani”.

E pensare che al tempo della fatwa di Khomeini, Andy Ross, il proprietario della libreria Cody’s Books a Berkeley, vide i suoi locali distrutti da una bomba. Dopo l’attentato, Ross riunì lo staff: “Dissi loro che dovevamo prendere una decisione difficile. Dovevamo decidere se continuare a vendere ‘I versetti satanici’ e rischiare la vita per ciò in cui credevamo. Oppure adottare un approccio più cauto e compromettere i nostri valori. Quindi abbiamo votato. All’unanimità e per continuare a vendere il libro. Fu il giorno più orgoglioso della mia vita”. Di quell’orgoglio sembra restare ben poco. Rushdie dunque come Ayaan Hirsi Ali, la dissidente islamica ed ex parlamentare olandese che avrebbe dovuto ricevere una laurea honoris causa dalla prestigiosa Brandeis University di Boston. Ma una massiccia petizione e le proteste degli accademici hanno costretto l’ateneo a fare marcia indietro e a ritirare il riconoscimento. Una straordinaria donna di colore, una musulmana dalla Somalia, che ha rischiato tutto per essere libera in occidente, non ha potuto dunque prendere la parola nel paradiso del pluralismo americano, il Massachusetts. E al Macalester College, nel Minnesota, è censurata la mostra di un’artista iraniana, Taravat Talepasand, che aveva realizzato una scultura che recita “Donna, vita, libertà” in inglese e farsi (lo slogan delle donne iraniane) e una satira di Khomeini e donne che indossano il niqab mentre si tirano su le vesti.

Rushdie lo aveva previsto in “Languages of truth”. Vi spiegava che i nuovi inquisitori oggi non sono soltanto quelli che portano il turbante a Teheran, ma giacca, cravatta e jeans nei lindi campus d’occidente. “Il vecchio apparato religioso della blasfemia, dell’inquisizione, dell’anatema, tutto questo potrebbe essere sulla via del ritorno sotto forma laica”. E’ in gioco, scrive Rushdie, la società aperta: “Deve consentire l’espressione di opinioni che alcuni membri di quella società possono trovare spiacevoli. O entriamo nel problema di chi dovrebbe avere il potere di censura. Quis custodiet ipsos custodes. Chi ci proteggerà dai guardiani?”. Siamo sempre lì.

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